martedì 23 febbraio 2021

Avvoltoi e scuole di fotografia

© Christel Sagniez/Pixabay
© Christel Sagniez/Pixabay

  • Premessa

Chiunque conosca formule particolarmente offensive da rivolgere agli autori di certe proposte è pregato di suggerirmele in privato o scriverle nei commenti


  • Dialogo

«FPschool buongiorno»

«Buongiorno, sono Mario Rossi della società Verdi. Volevo chiedere un’informazione…»

«Certo, dica pure, siamo qui per questo»

«La società Verdi sta realizzando una campagna pubblicitaria per i propri capi di moda e vorremmo offrire una grande opportunità per entrare nel mondo del lavoro a degli studenti di una scuola di fotografia»

«Mmm, cioè?»

« Offriamo la possibilità di realizzare la campagna come stage gratuito…»

«In altre parole vi fate la campagna gratuitamente»

«Beh in un certo senso… ma è una grande opportunità»

Il clack del ricevitore abbassato sulla base interrompe questo dialogo indecente (si usiamo ancora telefoni con il filo quando possibile) . 


  • Sfogo


I nomi sono inventati, ovviamente, ma di telefonate come questa a FPschool scuola di fotografia ne riceviamo mediamente una settimana, spesso due. L’ultima, quella di cui ho riportato il dialogo risale a meno di mezz’ora, giusto il tempo necessario per sbollire la rabbia quel tanto che mi permettesse di centrare le lettere desiderate senza spaccare la tastiera. Parafrasando una nota locuzione popolare, declinata in vari dialetti in tutta la penisola con scelte lessicali mai assimilabili alla sfera del politically correct, si potrebbe dire che son tutti imprenditori con gli studenti degli altri, soprattutto se lavorano gratis.


Beh francamente sono veramente stufo di questi avvoltoi che sfruttano il lavoro di giovani fotografi (e non solo) togliendo lavoro ai professionisti che di questo vivono. Se volete fare una campagna la pagate per la miseria, non chiedete a degli studenti speranzosi di fare carriera di lavorare gratis. Senza contare che non è detto che possiedano l’esperienza necessaria per gestire un lavoro professionale. Il problema vero è che non tutti fanno come noi, ovvero non danno seguito a queste proposte indecenti. Non parlo per sentito dire, ma per aver visto scuole che danno in pasto a questi avvoltoi i propri studenti convincendoli che si tratti di grandi occasioni.


Per questo noi continuiamo a ricevere queste telefonate o e-mail di analogo tenore  e i professionisti continuano a perdere lavori che potrebbero fare.


lunedì 19 febbraio 2018

La fanzine del signor Sindaco


La copertina della fanzine fotografica Il signor Sindaco e la Città Futura di Gianfranco Ferraro.
A maggio dello scorso anno FPmag è stata media partner di Funzilla 2017, manifestazione romana dedicata alle fanzine fotografiche, un mondo relativamente poco conosciuto, ma ricco di vivace creatività. L'ambiente era (ed è) di quelli che non ti possono lasciare indifferente. La ricerca e le soluzioni originali che ne scaturiscono sono uno stimolo potente se si prova un minimo di interesse nei confronti dell'immagine e delle sue forme di espressione.
Di fatto nei mesi a seguire il tarlo si è insinuato nei nostri cervelli e ha continuato a lavorare finché il... morbo non ha finito per colpire anche noi. Sì, abbiamo ceduto alla tentazione e abbiamo fatto la nostra prima fanzine fotografica e, anche se abbiamo tutto da imparare e soprattutto da dimenticare dopo un quarto di secolo passato nell'editoria cartacea, per iniziare abbiamo scelto un lavoro che FPmag ha seguito dalla sua origine: Il signor Sindaco e la Città Futura di Gianfranco Ferraro.



Dal progetto Il signor Sindaco e la Città Futura di Gianfranco Ferraro. © Gianfranco Ferraro.


All'inizio, quasi tre anni fa, il progetto era nato come lavoro finale per il corso di Linguaggio e lettura delle immagini di FPschool, ma presto ha intrapreso ben altro cammino. Il signor Sindaco infatti è stato presentato a Milano presso la Fondazione Francesco Messina, a Lodi, nell’ambito del Festival della Fotografia Etica 2016, alla 15a Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, a Vibo Valentia nell’ambito del Tropea Festival Festival Leggere&Scrivere 2016, a Mogoro al BìFoto Fest 2016 e presso l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna in collaborazione con OSCE.


Dal progetto Il signor Sindaco e la Città Futura di Gianfranco Ferraro. © Gianfranco Ferraro.


Un percorso che era difficile ipotizzare all'epoca del corso per Il signor Sindaco, ma che indubbiamente ha riservato più di una soddisfazione all'autore e a quanti hanno collaborato con lui alla realizzazione del video e della mostra che lo ha accompagnato. Quello che mancava per chiudere il cerchio era una testimonianza cartacea che rimanesse nel tempo a testimoniare il lavoro fatto. Per questo, in collaborazione con FPschool, abbiamo creato una linea di fanzine fotografiche che abbiamo chiamato FPfan, che prende il via proprio con Il signor Sindaco e la Città Futura, cercando di trasporre le atmosfere fiabesche con cui è raccontata la storia di Mimmo Lucano sindaco di Riace e del suo progetto di integrazione e recupero della sua città. Oltre a completare su carta il percorso di questo progetto c'era quindi anche la volontà di non disperdere l'energia e i risultati ottenuti durante i corsi di FPschool, affinché anche del lavoro degli studenti potesse rimanere una traccia concreta.

Dal progetto Il signor Sindaco e la Città Futura di Gianfranco Ferraro. © Gianfranco Ferraro.
La fanzine Il signor Sindaco e la Città Futura (stampata in 100 copie numerate) sarà presentata mercoledì 21 febbraio 2018 dalle ore 19,00 alle 22,00 presso la sede di FPschool in via Spartaco 36 a Milano. All'indomani della presentazione la fanzine potrà essere acquistata direttamente dalle pagine di FPmag Durante la serata sarà proiettato anche l'omonimo video e, in anteprima assoluta, il cortometraggio Numeruomini, in concorso ai Globi d'Oro 2018, realizzato da Gianfranco Ferraro per raccontare, sempre con la forma della fiaba per adulti, il processo di integrazione e inserimento al lavoro dei migranti minori inseriti all'interno del progetto SOSteniamoci realizzato dal Cesvi in collaborazione con Brembo.

Info: https://www.fpschool.it/il_signor_sindaco_e_la_citta_futura_di_gianfranco_ferraro_corso_di_linguaggio_e_lettura_delle_immagini-s2068


SalvaSalvaSalvaSalva
SalvaSalva
SalvaSalva

sabato 6 gennaio 2018

Un po' di attenzione... per favore

Propaganda con le immagini



Davvero bisogna essere sempre diffidenti nei confronti delle immagini quando ci passano sotto gli occhi?
Eleggere costantemente il sospetto a ragione di vita è probabilmente la manifestazione sintomatica di una sindrome paranoide, ma essere un po' più vigili di certo non fa male.

Non più tardi di ieri, in risposta all'invito alla presentazione di un libro cui il mio interlocutore non poteva partecipare, mi è stato chiesto se non avremmo trasmesso in diretta l'evento. Impensabile fino a pochi anni fa, eppure oggi si fa con un click, o meglio ancora con un tap. Ovvero: oggi tutti con un semplice smartphone siamo in grado di offrire immagini e testi, perfino dirette audio e/o video. In altre parole tutti possiamo produrre informazioni in tempo reale.

La sovrabbondanza di fonti potenziali richiede maggior vigilanza da parte di tutti noi utenti. Se iniziamo a osservare possiamo scoprire che spesso dietro foto o video di pochi secondi, innocui e spensierati, si nascondono una regia precisa e finalità di coinvolgimento tutt'altro che innocenti. La propaganda è tanto più efficace quanto meno risulta identificabile come tale. 

Pervasiva e priva di confini, la comunicazione che usa l'immagine è impiegata dai politici per catturare consenso. Ad amarla in modo particolare pare siano i sindaci, considerato che viene utilizzata tanto dal sindaco di Bari quanto da quello di Beziers, nella Francia del Sud. Ma non la disdegna nemmeno Papa Francesco o (e chiedo venia per l'accostamento blasfemo) una grande multinazionale come la Monsanto. Anche dietro immagini banali come un autoscatto inneggiante alla pace in Medio Oriente si possono potenzialmente nascondere strategie di coinvolgimento alla propria causa: basta montare il caso e fare in modo che toccando i tasti giusti questo venga ripreso dalla stampa internazionale. L'importante è non fermarsi alla patetica solidarietà per chi è effigiato nell'immagine, ma chiedersi se chi ha lanciato per primo la notizia possa avere o meno interesse a far sì che divenga latrice di sdegno verso una delle parti coinvolte.

Insomma senza diventare paranoici, proviamo a essere semplicemente un po' meno disattenti.




domenica 2 ottobre 2016

Addio REFLEX!

Il numero 438/settembre 2016 di FOTOGRAFIA REFLEX è stato l'ultimo in edicola

Aprile 1980. Verba volant, schiaffa etiam. È la scritta che campeggia nella parte alta della porta che da sul corridoio. Sono in piedi, appena oltre la soglia della della III C. La primavera a Roma si fa sentire ai primi di aprile del 1980. Di lì a un paio di mesi avremo fatto i conti con la maturità. 
Aspettiamo l'inizio delle lezioni e io sfoglio il primo numero di REFLEXuna rivista appena uscita. La dirige Giulio Forti, già direttore di Fotografare che compravo dall'estate del 1974, poco prima di entrare al liceo. Da quando Forti ne aveva lasciato la direzione però mi piaceva molto meno. Per questo aspettavo con ansia il primo numero di REFLEX.

In qualche modo ero legato alla firma di Giulio Forti da prima ancora di iniziare a comprare Fotografare. Quando ero più piccolo, abitavo proprio di fronte alla redazione di Fotografare e indirettamente avevo già avuto a che fare con Giulio Forti. Una vicina aveva trovato in strada il portafogli che aveva perduto e glielo aveva restituito. Lui per ringraziare le aveva regalato alcuni libri che aveva scritto. E siccome la vicina in questione non aveva interesse per la fotografia, i libri erano finiti nelle mani del piccolo Iovine appassionato di fotografia fin da prima di essere adolescente.

La rivista promette, penso in piedi all'ingresso della III C del liceo ginnasio Torquato Tasso di Roma. Certo anche a 19 anni appena compiuti e con nessuna esperienza di giornalismo, mi appare immatura. Migliorerà, ne sono sicuro, ma mi sarei aspettato qualcosa in più. 

Ancora non posso immaginare che da lì a poco più di nove anni varcherò la soglia della redazione di REFLEX e mi metterò seduto a un tavolo nella stanza di Marco Bastianelli per il mio periodo di prova come redattore. Non potevo immaginare il terrore di fronte alla prima notizia da scrivere: dieci righe su dei nastri magnetici per videocamere, se ricordo bene. Tantomeno potevo supporre che ci sarei rimasto per nove anni in quella redazione, fino al 1998 quando mi sono trasferito a Milano. E che alcuni concetti imparati più o meno 25 anni fa continuano a farmi da guida oggi nel lavoro.

30 settembre 2016. È sera, saranno le 20 circa. Sono a Milano in attesa di cenare. Mi segnalano via Skype un post di Giulio Forti sulla pagina Facebook di FOTOGRAFIA REFLEX (negli ultimi 36 anni il nome della testata è cambiato). È stato scritto 52 minuti prima. «Anche le belle storie, a volte finiscono –esordisce Giulio– Quella di FOTOGRAFIA REFLEX è durata 36 anni ricchi di interesse, passione e trasformazioni». 
Mi dispiace, mi dispiace davvero. È perfino banale dire che quando chiude una testata è sempre una pessima cosa. Soprattutto se di lavoro fai il giornalista o qualcosa di simile. Ma dispiace ancora di più veder sparire una testata per cui hai lavorato. Peggio quella in cui hai imparato il mestiere che ancora fai. 

Sono cambiate tante cose da quell'aprile 1980 e forse è normale e perfino giusto che sia così. Ma è difficile non ripensare ai giorni passati in quella redazione al primo piano in via di Villa Severini (la sede della EDITRICE REFLEX prima dell'attuale in via Achille Lória). 
La decisione è presa e REFLEX non sarà più in edicola. Andiamo avanti, ma è il momento di pronunciare quei ringraziamenti mai fatti. 
Ringrazio Giulio per aver scelto il mio curriculum in quel lontano 1989. Ringrazio Marco che non è più con noi per avermi insegnato a scrivere un pezzo battendolo direttamente sulla tastiera senza prima scriverlo a penna. Ringrazio Eugenio per avermi dato amicizia e consigli quando mi sentivo perso. Ringrazio Sergio per aver impaginato con pazienza quello che producevamo e avermi insegnato come si fa girare il lavoro. Ringrazio Maurizio per avermi insegnato il rigore nella professione e avermi poi accolto a Milano. Grazie a Michele che mi ha fatto capire l'importanza del sapersi difendere sul lavoro. Grazie a Mimmo che mi ha fatto capire che la fotografia non è solo tecnica, ma soprattutto cultura. E ancora grazie a Teresa e Nazzarena per la pazienza e la discrezione con cui ci passavano le telefonate e a Marilena e Patrizia per aver fatto in modo che lo stipendio arrivasse sempre puntuale. E infine grazie anche Luca, con cui non ho potuto lavorare perché all'epoca era ancora un adolescente, ma che mi ha confortato con la sua simpatia nei viaggi di lavoro degli ultimi anni.
Bando alla tristezza. Si va avanti!

PS - Giulio non so se leggerai mai queste righe, ma spero che, se ti dovesse capitare di finire su questa pagina, apprezzerai che REFLEX lo scrivo ancora maiuscolo con un corpo inferiore rispetto al testo. Come hai sempre voluto tu 😉 



martedì 13 settembre 2016

Siamo tutti "Charlie"... con i morti degli altri

L'immagine di apertura dell'articolo pubblicato su FPmag.
Sono le 10,50 di martedì 13 settembre 2016. Su FPmag è stato appena pubblicato un mio articolo (questo il link: Non siamo più Charlie) sulle reazioni alle vignette di dubbio gusto di Charlie Hebdo sul terremoto che ha colpito il Centro Italia il 24 agosto 2016.

Sono quasi certo che le mie osservazioni, peraltro tutt'altro che originali, su quanto accaduto scateneranno la classica tempesta nel bicchier d'acqua. Se non fosse che non scommetto per principio, sarei quasi disposto a investire una certa somma di denaro sull'eventualità tutt'altro che remota che quanto ho scritto venga frainteso da tutte le parti. Mi aspetto ci che qualcuno interpreti il breve pezzo come uno sfogo sdegnato nei confronti dei satirici francesi e nello stesso tempo qualcun altro interpreti il pezzo come una miserabile difesa del loro operato.

Non sarebbe la prima volta e non sarà l'ultima. La speranza è solo di provare a suscitare un minimo di riflessione in qualcuno, indipendentemente dalle conclusioni cui poi arriverà.

Per la cronaca il pezzo non è ne un attacco a Charlie Hebdo ne tantomeno una sua difesa. Per il resto staremo a vedere cosa succede in attesa della diffusione sui social network.


mercoledì 7 settembre 2016

Il ritorno delle letture portfolio

Durante la lettura portfolio di Fotoleggendo 2016 a Roma. © Stefania Biamonti/FPmag.
Il tempo da dedicare al blog è sempre di meno e i risultati si vedono quando si da un'occhiata alla cadenza di pubblicazione. È stata necessaria una pausa in attesa dell'inaugurazione di Kaunas Photo 2016 e la prospettiva della lettura portfolio da fare domani per riprendere in mano questa pagina. Come dicevo qualche considerazione è sorta spontanea nel momento in cui mi sono reso conto di trovarmi in un albergo bizzarro (dove per capirci non ti chiedono i documenti, mentre se compri una birra al supermercato devi esibirli...) a circa 2000km da casa e ho concretizzato di essere arrivato fin qui proprio per per effettuare una lettura portfolio.
Già, una lettura portfolio, oltretutto l'ennesima quest'anno e certo non l'ultima per questo 2016. E dire che qualche anno fa avevo deciso di rifiutare le proposte che mi venivano fatte in tal senso con una motivazione ben precisa. 
Dal mio punto di vista la lettura portfolio l'avevo sempre considerata come un momento di tipo didattico oltre che di reciproco scambio tra chi sottopone le proprie immagini e chi le valuta. Di fatto la durata degli incontri è sempre troppo limitata e il gap tra le parti in causa troppo spesso eccessivo per rendere queste occasioni foriere di crescita per qualcuno. Ricordo con precisione il momento in cui si era spento l'interruttore. Era stato in occasione della presentazione di un portfolio dal titolo roboante che rimandava a una delle più dibattute questioni semiotiche intorno alla fotografia e che invece si esauriva in banali immagini di impronte di pneumatici nel fango. Difficile dimenticare il vuoto avanzare ad ogni mia parola negli occhi del mio interlocutore mentre tentavo di spiegargli per quale motivo prima di valutare il lavoro sarebbe stato più opportuno trovare un altro titolo che non scatenasse aspettative che sarebbero rimaste irrisolte alla visione del lavoro. 
Troppo spesso mi sono alzato dal tavolo delle letture con la sensazione di aver perso e aver fatto perdere tempo al prossimo senza aver prodotto alcun risultato minimamente apprezzabile. Beh, poi ad essere proprio onesti, mi ero anche un po' stancato di reprimere istinti omicidi nei confronti di chi si sottopone alle letture con un'unica disposizione d'animo: quella di chi accetta solo complimenti e rifiuta qualsivoglia consiglio, per non parlare di una vera e propria critica.
Durante la lettura portfolio nell'ambito di Cortona On The Move 2016. © Stefania Biamonti/FPmag.

Quest'anno però mi è capitato di tornare fare parecchie letture in festival internazionali dove, ahimè, il livello è quasi sempre più elevato e il dialogo è alla pari (... sperando di non essere smentito proprio domani mattina) e si ha la possibilità di scoprire davvero lavori interessanti che aprono le porte a interessanti pubblicazioni. In questo senso l'esperienza di Arles è stata particolarmente foriera nel reperimento di lavori che nei prossimi mesi vedrete pubblicati su FPmag.
Insomma di nuovo nella mischia, ma non più con l'idea (al tempo stesso ingenua e presuntuosa esaminandola con il senno di poi) di poter esercitare un ruolo didattico, bensì con lo scopo di ricercare e incontrare talenti da aiutare nella difficile impresa di farsi conoscere.

lunedì 28 settembre 2015

Reaching the Cape with Matteo



Sarajevo, Bosnia and Herzegovina, July 2011. © Matteo Di Giovanni.
Appena sveglio Matteo si affaccia alla finestra. Sarajevo è sotto di lui. La luce è magnifica, spettacolare per una mattina di luglio. Matteo è un fotogiornalista e sta facendo un  lavoro sull'identità nazionale in Bosnia Erzegovina che presenterà, al suo ritorno a Londra, alla conclusione del Master in fotogiornalismo della University of Westminster che sta seguendo. Con una luce del genere nell'aria, la giornata di lavoro si presenta sotto i migliori auspici. Matteo prende la fotocamera e scatta la foto che vedete qui sopra. Si prepara ed esce. Ancora non sa che sta per guardare in faccia la morte e che non tornerà più in quella casa che si affaccia su Sarajevo. 
Per Matteo infatti quel giorno di luglio durerà fino ad ottobre, quando, uscito inaspettatamente dal coma provocato da quell'incidente che gli cambierà definitivamente la vita, scoprirà di aver subito una serie di interventi tra cui l'amputazione trans femorale della gamba sinistra.
Molti si sarebbero dati per vinti a quel punto, ma Matteo Di Giovanni non lo ha fatto e a distanza di quattro anni sta per iniziare un'avventura che metterebbe in difficoltà molte persone senza problemi fisici. Reaching the Cape, così si chiama il suo progetto, sarà il viaggio che lo porterà dall'Italia a Capo Nord, nell'ideale prosecuzione di un'idea concepita prima dell'incidente. Lo accompagnerà l'amico amico fotografo e videomaker Lucas Pernin, che si occuperà di effettuare la documentazione del viaggio, il tutto sotto la direzione artistica di MiCamera e la collaborazione di numerosi sostenitori, tra cui Studio Fahrenheit di Gianni Romano, New Old Camera di Ryuichi Watanabe, Alpa, e la rivista FPmag, che seguirà il viaggio con aggiornamenti in tempo reale. 
L'impresa però sarà possibile solo grazie al contributo di tutti noi. La campagna di crowdfunding infatti si sta chiudendo proprio in questi giorni e manca davvero poco al raggiungimento dei 20.000 Euro necessari perché il progetto possa partire. L'invito per tutti è quello a dare il proprio contributo su Kickstarter, consentendo a Matteo di dimostrare come le più aggiornate biotecnologie permettano ormai il superamento anche delle disabilità più gravi.
Matteo Di Giovanni, il fotografo che raggiungerà Capo Nord dall'Italia nell'ambito del progetto Reaching the Cape.


AddThis Social Bookmark Button


martedì 28 aprile 2015

FPmag: arriva il portfolio dei lettori


La copertina del primo portfolio di FPmag, dedicato all'autore austriaco Robert Rutöd.

Poco più di un anno fa, esattamente il 25 aprile 2014, ovvero un anno e tre giorni fa, annunciavo da questa pagina il distacco dalle pagine della rivista diretta per quindici anni. Ma si sa le abitudini sono un po' dure a morire e se le si unisce a progetti covati da tempo senza avere il tempo di svilupparli, era quasi inevitabile che dopo una spolverata tecnologica, a ottobre dello scorso anno si finisse per ricadere nel vizio presentando una nuova rivista online, in forma di numero speciale dedicato al Festival della Fotografia Etica di Lodi.

Dopodiché sono usciti due numeri della rivista. Il primo (On the road of memory) dedicato alla rappresentazione della memoria e il secondo ([re]tracing topography) che prende in esame il paesaggio antropormofizzato, argomento vastissimo che infatti occuperà anche il terzo numero in uscita tra pochi giorni. 

Per essere una vera rivista avevamo bisogno però anche di poter offrire ai lettori un'informazione di servizio e non solo articoli e connessioni miranti a stimolare la riflessione sul mondo della comunicazione attraverso le immagini. Giusto il tempo per ricostruire da zero una rete di contatti e allestire tecnicamente il sito e sono nate le news. Un bell'impegno quotidiano di reperimento informazioni e aggiornamento con la finalità di offrire almeno due notizie nuove ogni giorno. 
Anteprima della copertina del numero 003 di FPmag con la seconda parte di [re]tracing topography.


In tutto questo però non abbiamo dimenticato un aspetto fondamentale di ogni rivista, ovvero l'accesso al pubblico. Non a caso in occasione della conferenza stampa di presentazione di FPmag durante il Festival della Fotografia Etica 2014, una delle prime cose che ci furono chieste fu proprio se era previsto uno spazio destinato ai lettori. Bene ora c'è. Proprio oggi infatti lanciamo una nuova sezione intitolata PORTFOLIO in cui diamo e daremo spazio proprio ai nostri.
A inaugurare la serie un lettore austriaco, Robert Rutöd, che ci ha proposto una serie di immagini alquanto surreali frutto di un'attenta ricerca del rapporto tra l'istante e la presenza nei luoghi. Quello che ci proponiamo è di proporre un paio di portfolio ogni mese e contiamo sulla collaborazione dei lettori e sulle loro proposte. Quello che chiediamo è che si tratti di proposte in accordo con la nostra linea editoriale che prevede un'unità tematica coerentemente sviluppata in termini di argomento e forma. Per il resto siamo aperti a ogni tipo di ricerca. Proponeteci quindi i vostri portfoli scrivendo alla redazione.


AddThis Social Bookmark Button

venerdì 13 febbraio 2015

Andy Rocchelli premiato al World Press Photo

Russian Interiors di Andrea Andy Rocchelli/Cesura, Portraits, 2nd prize stories World Press Photo 2015, l'immagine è un link diretto al sito WPP. © Andrea Rocchelli/Cesura. 

Ieri sono stati resi pubblici i i risultati del World Press Photo 2015. Tra i premiati c’è anche Andrea Andy Rocchelli con il suo lavoro Russian Interiors (Portraits, 2nd prize stories). Un meritato riconoscimento postumo al lavoro del fotografo di Cesura scomparso in Ucraina nello scorso maggio. Un riconoscimento che, mi sia consentito sottolinearlo, dovrebbe idealmente essere esteso anche ai suoi amici e colleghi di Cesura, che con ammirevole dedizione e affetto hanno portato a compimento il lavoro di Andy realizzando un bellissimo volume fotografico che racchiude le immagini premiato al World Press Photo.
Quello ottenuto da Andy è un risultato davvero considerevole se si tiene conto che al premio hanno partecipato ben 97.912 immagini di 5,692 fotografi di 131 nazionalità differenti. Dobbiamo pensarlo come un premio a una vita dedicata a raccontare il mondo e cosa vi accade. Un premio che però non potrà mai compensare il sacrificio estremo di un ragazzo poco più che trentenne, sperando comunque che si tratti del meritato riconoscimento al lavoro di Andy e non alla sua tragica fine.



domenica 8 febbraio 2015

Quando a mungere sono i politici

Il ministro del Lavoro Poletti munge una mucca in piazza del Campidoglio (foto Jpeg) - link diretto alla pagina di corriere.it.
L'invito è a cliccare questo link relativo a una galleria di immagini pubblicata da corriere.it, nella sezione Cronaca di Roma. Il titolo è Mucche in Campidoglio, i ministri le mungono e le immagini fanno riferimento all'estemporanea attività di mungitori assolta da vari personaggi politici nazionali che si sono offerti agli obiettivi mentre prelevavano il latte dalle mammelle di un bovino in una sorta di stalla allestita ai piedi del Palazzo Senatorio. Il tutto all'interno di una manifestazione promossa dalla Coldiretti e rivolta alla sensibilizzazione circa le non piccole problematiche del settore.

Al di là dell'opportunità di allestire una stalla in prossimità di luoghi istituzionali, al di là del meccanismo mediatico di bassissimo profilo (ammesso che di profilo si possa parlare) per cui i politici di ogni colore si sono demagogicamente profusi nella manifestazione della loro solidarietà al settore, la domanda che mi pongo è se questa gente si rende conto di come la lettura di immagini del genere possa essere tutt'altra che univoca e positiva. 

Non occorre scomodare nemmeno il piano simbolico della rappresentazione per rendersi conto che l'atto della mungitura assolto da un politico si presta a interpretazioni che esulano (e non poco) dalla solidarietà nei confronti degli allevatori. Il tutto è ancora più valido se su uno dei personaggi raffigurati sono circolati articoli di questo genere. Non intendo entrare in questa sede in polemiche o disamine di tipo politico, che certo non attengono a questo spazio, ma francamente mi chiedo se proporre la propria immagine in questi termini sia un gesto di sfrontatezza o di ingenuità senza pari. Ovvero se non ci si renda conto di come fotografie di questo tipo si possano prestare a letture feroci e fortemente negative per i soggetti raffigurati. 

Semmai una considerazione che non posso esimermi dall'esternare, è quella relativa alla grondante demagogia che cola copiosa da questa galleria. Il livello iconico è, nella migliore delle ipotesi, quello di una propaganda il cui linguaggio è aggiornato a più o meno ottanta o novanta anni fa. Possibile che nell'anno domini 2015 fotografie come queste riescano a trovare uno spazio pubblico? Sempre sperando che davvero non svolgano un ruolo attivo nel coinvolgimento al potere delle masse...

AddThis Social Bookmark Button

giovedì 5 febbraio 2015

FPmag: genesi di un'avventura



Il Couvent des Minimes a Perpignan. © FPmag.

FPmag è... nata qui, all'interno del Couvent des Minimes a Perpignan, più di tre anni e mezzo fa. O meglio, qui è stata concepita la prima grezza idea della rivista. Stefania (Biamonti) e io eravamo nella città francese per seguire l'edizione 2011 del Visa pour l'Image e, grazie a una telefonata arrivata proprio mentre stavamo per accendere la videocamera, avevamo appena visto sfumare l'intervista a un noto fotografo. In altre parole ci eravamo trovati senza niente da fare nel bel mezzo del pomeriggio, finendo per optare per una pausa. Del resto il Pellegrinaggio (la maiuscola è un omaggio a un altro noto fotografo italiano, cui peraltro è dedicato uno dei corridoi espositivi all'interno del Couvant) alle mostre del Visa pour l'Image è sempre piuttosto stancante. Di fatto, complici una serie di concause, dal caldo di inizio settembre (gentilmente messo a disposizione più o meno tutti gli anni dal Sud della Francia), alla stanchezza unita alla delusione per l'intervista saltata e, forse, qualche rinfrescante pastis di troppo, ci siamo abbandonati a fantasiose ipotesi sulla realizzazione di una possibile testata che si occupasse di comunicazione per mezzo delle immagini.
I primi appunti da cui, nell'ormai lontano settembre 2011, è nata FPmag.
Il risultato di quella pausa pomeridiana forzata sono gli appunti che riporto qui sopra, da cui si evince che molto probabilmente la maggior fonte di ispirazione di quel caldo pomeriggio proveniva proprio dal rinfrescante pastis. Da allora sono passati più di tre anni e fino al maggio dello scorso anno abbiamo continuato a lavorare per la testata che per una quindicina di anni mi ha visto in qualità di direttore, lasciando in stato di quiescenza  l'idea nata a Perpignan e facendola riemergere solo nei momenti di maggior irritazione nei confronti delle non condivise ingerenze dell'editore nella linea del giornale. Quando tanto io tanto la redazione dopo pochissimi giorni abbiamo rassegnato le nostre dimissioni, l'idea di realizzare una testata in cui potessimo sviluppare una linea autonoma rispetto alle richieste dell'editore ha ripreso corpo. (Per inciso colgo l'occasione per formulare i miei più vivi auguri al nuovo direttore che a meno di una anno di distanza è subentrato al posto di chi mi ha succeduto) 
Grazie alla genialità di Salvatore Picciuto, ideatore di Fotoportal, che ha realizzato per noi una piattaforma che risponde esattamente alle richieste che gli avevamo fatto, a ottobre dello scorso anno abbiamo realizzato un primo numero speciale dedicato al Festival della Fotografia Etica di Lodi, in occasione del quale abbiamo annunciato pubblicamente il nostro progetto. 
La copertina del numero 001 di FPmag.
FPmag oggi è una realtà frutto di scelte precise. Innanzitutto è edita solo online, in quanto siamo convinti che sia questo il futuro, ma anche il presente, dell'editoria. Del resto basta sfogliare un solo numero per capire che la richiesta da molti fatta di una versione cartacea è impraticabile. Dopo infinite discussioni abbiamo optato per il supporto web perché consente di accedere a strumenti di comunicazione multimediale che la carta non può fisiologicamente sostenere. Tradurre il tutto su carta snaturerebbe completamente il progetto rendendolo antico prima ancora di farlo nascere. 
Una pagina di FPmag 001, dall'articolo MAdRE con il video Mare Mater di Patrick Zackmann, che svolge un ruolo connessione logica tanto con le tematiche affrontate da Sophie Calle quanto con gli articoli sui migranti nelle pagine precedenti.
FPmag usa il web come supporto e può tranquillamente essere letta con un altissimo indice di responsività che stiamo studiando come rendere ancora più elevato. Inoltre in questo modo si bypassano tutte le problematiche relative agli aggiornamenti delle applicazioni in funzione degli upgrade dei sitemi operativi mobili.
FPmag non si può scaricare per non aggravare di peso inutile soprattutto i dispositivi mobili. Del resto, per quanto nel nostro paese la gestione delle reti di connessioni sia ancora lacunosa, il futuro va chiaramente in direzione di una connessione totale.
L'apertura dell'articolo Cortocircuiti mnemonici all'interno del numero 001 di FPmag.
FPmag è articolata intorno a uno spunto (che nel caso della prima uscita attualmente online si incentra sui percorsi della memoria legati alle immagini) da cui trae origine il numero per poi svilupparsi per mezzo di una serie di connessioni e passaggi logici che possono portare anche molto lontano rispetto al punto di partenza, ma che in qualche modo fungono da elemento di coesione tra i vari articoli creando circoli e spirali di pensiero che dovrebbero nelle nostre intenzioni risultare stimolanti per il lettore. Ove possibile abbiamo cercato e cercheremo di dare spazio dalla voce degli autori con brevi interviste video o testimonianze audio. Un esempio è quello dell'ultimo articolo dedicato all'immagine utilizzata in copertina, dove Stefania Biamonti rende conto delle scelte operate dalla redazione per poi lasciare la parola a Mario Badagliacca che racconta brevemente la genesi del servizio da cui è tratta l'immagine di copertina.
Lo schema mostra lo sviluppo della successione degli articoli e le connessioni logiche presenti nei primi cinque  articoli del numero 001 di FPmag.
FPmag nasce da un'esperienza prettamente fotografica, ma non intende imporselo come limite. Quello che interessa è affrontare le tematiche legate alla comunicazione per mezzo delle immagini. Per questo sulle nostre pagine potete leggere anche articoli che riguardano i fumetti, piuttosto che il cinema o qualunque altra forma comunicativa che utilizzi delle immagini. Lo spirito di fondo è quello di analizzarne l'utilizzo nella comunicazione, indipendentemente dalle finalità di questa. Se nel primo numero sono stati ad esempio analizzati i casi delle immagini pubblicate da Le monde o dei manifesti della Lega Nord, l'intento non è quello di esprimere giudizi, bensì di sottolineare i meccanismi comunicativi presenti nei sottostesti utilizzati.
L'apertura dell'articolo Fotografia, arte e memoria sul numero 001 di FPmag.
Il tutto sarà disponibile sempre in italiano e inglese per aprirci a un pubblico internazionale.
Due parole su chi scrive su FPmag. Vi basterà dare un'occhiata al colophon per riconoscere una serie di nomi noti nell'ambito del giornalismo culturale che si occupa di immagine, quella che era stata la redazione di una nota rivista di fotografia si è ricostituita intorno al progetto di FPmag, troverete quindi le firme di Stefania Biamonti, Laura Marcolini, Pio Tarantini, Gualtiero Tronconi oltre a quella del sottoscritto e di altri collaboratori che si sono già aggiunti e si aggiungeranno a questa avventura. 
L'articolo dedicato all'impiego delle immagini da parte dei Led Zeppelin.
Detto questo non mi resta che augurarvi buona lettura e ringraziarvi anticipatamente qualora decidiate di darci una mano nella diffusione di FPmag.



AddThis Social Bookmark Button

giovedì 18 settembre 2014

Maurizio Cau: L’indifferenza & I Morti Vivi


Maurizio Cau, dalla mostra  L’indifferenza & I Morti Vivi. © Maurizio Cau.
L’immagine è un linguaggio che utilizza propri codici, ma al loro interno l’autore si può muovere con grande libertà espressiva. Tanto più quando questi hanno valore simbolico. Le bambole, che barthesianamente sono state davanti all’obiettivo, sono certo oggetti che hanno subito una violenza, esplicitata nell’immagine cui hanno dato vita, ma di sicuro il racconto di cui sono portatrici non si limita a questo. La loro materialità può ingannare, ma propone realtà multiformi e sottotesti che ci narrano ben altro. 
Maurizio Cau, dalla mostra  L’indifferenza & I Morti Vivi. © Maurizio Cau.
Se il primo livello è quello della reificazione, dell’evidenza di quanto raffigurato, al di sotto di esso possiamo trovare la metafora per cui gli oggetti non sono altro che simulacri di altre dimensioni che si incarnano certo nelle bambole, ma finiscono per aprire baratri nei territori dell’inconscio e del reale. Se per certi versi possono rappresentare una dimensione che condividiamo come esseri umani socialmente inseriti in strutture angosciosamente opprimenti, per altri risvegliano quegli incubi nascosti dell’inconscio individuale e collettivo in cui si riversa il personale portato di vita. 
Maurizio Cau, dalla mostra  L’indifferenza & I Morti Vivi. © Maurizio Cau.
D'altronde quando l’obiettivo scende in strada, i suoi incontri non sono meno inquietanti, coagulandosi intorno a fantasmatici personaggi. Simulacri di un’umanità in cui è possibile ritrovare le stesse caratteristiche che le bambole martoriate ci hanno poco prima sbattuto in faccia. La differenza è nella forma. Se nelle prime le ferite erano esposte al pubblico orrore, qui sono celate dai vestiti e dalle convenzioni. Ma la sostanza di cui ci parlano le immagini non cambia. Dove è finita la nostra umanità?



La mostra

L'INDIFFERENZA 
& I MORTI VIVI

di Maurizio Cau

20 - 30 settembre 2014

Palazzo Marini

via Ada Negri, 28
Cagliari

AddThis Social Bookmark Button